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  • Immagine del redattoreSimone Casonato

Allenarsi in altura: linee guida e possibili benefici

Molti atleti d'élite prendono oggi parte a stage in altitudine, fino a 3-4 volte all'anno, spesso con grandi aspettative. Dal punto di vista della ricerca scientifica, i risultati dei lavori svolti rendono più controversa la disputa riguardo ad un possibile miglioramento delle prestazioni. Dal punto di vista ematico, dopo circa 15 giorni di altura si verifica un aumento progressivo della concentrazione dei globuli rossi (in risposta all'ipossia), aumentano sia la secrezione dell'ormone eritropoietina (EPO) che la concentrazione di emoglobina ed ematocrito ( sempre in risposta alla riduzione della pressione parziale dell'ossigeno). Non è però chiaro come questo si correli con ogni persona, ed i risultati della permanenza in altitudine sono soggettivi e difformi tra atleti, in quanto i miglioramenti nella prestazione sembrerebbero derivare da altri adattamenti periferici.

Vediamo insieme di approfondire sinteticamente l'argomento con considerazioni attuali e linee guida per la permanenza in altura.

Efficacia dell'allenamento in altura

A prescindere dalle "mode" del momento, che sanciscono il successo degli stage in altura nel mondo professionistico, non tutti gli atleti sperimentano un miglioramento delle prestazioni di resistenza dopo il periodo in quota. Uno studio di Chapman et al. ha monitorato gli effetti dell'altitudine dal punto di vista ematico e prestativo: un gruppo ha mostrato miglioramenti sia nella prova sui 5 km che nel Vo2max e nei parametri ematici, un altro gruppo invece non ha mostrato benefici sotto alcun punto di vista. Si sono divisi i due gruppi in "non-responder", privi di benefici tangibili, al contrario di quegli atleti migliorati dopo l'altura, "responder" (Chapman et al., J.Appl.Physiol. 1998; 85:1448-1456, figura sotto).

Figura 1: i responder mostrano una crescita molto più elevata dell'eritropoietina (Epo) dopo 30 ore in altura rispetto ai non-responder. Dopo 14 giorni in quota, l'Epo è ancora elevata nei responder, ma non troppo diversa dai valori del livello del mare nei non-responder.

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I dati dei soggetti responder mostrano come alcuni atleti abbiano avuto un adattamento positivo, denotando:

  1.  un aumento acuto e significativo della concentrazione di Epo e del volume dei globuli rossi ad alta quota (in questo caso, 2500m)

  2. la capacità di mantenere livelli di allenamento simili a quelli d'abitudine, grazie all'utilizzo della bassa quota (solo durante il training!) per mantenere le intensità e il flusso di O2 vicini ai valori riscontrabili a livello del mare

  3. differenti variazioni di SpO2, frequenza cardiaca e alcune variabili respiratorie durante l'esercizio e a riposo. L'analisi di questi parametri può aiutare a determinare gli atleti che rispondono all'altura, rispetto a quelli che non reagiscono in modo positivo (Hamlin et al. , J Athl Enhancement 2015 vol 4)

Questa classificazione risulta comunque controversa; una diversa visione scientifica sostiene che i "non-responder" siano dei potenziali beneficiari, che non sono ben preparati al soggiorno in altitudine. Gli atleti infatti devono sottostare a particolari condizioni per poter godere dei benefici dall'altura, come segnalato anche dall'Australian Institute of Sport in un documento pubblicato a tal proposito.

Vediamo insieme i punti salienti per un corretto stage:

  1. Pianificazione del soggiorno: per effettuare un periodo di altura occorre utilizzare la metodica del Living High- Training Low (vedasi studi di Levine et al). Scegliere per il soggiorno una location tra 2000 e 2500 metri di altezza sul livello del mare, rimanere in quota per un periodo di almeno 14 giorni (anche se 3-4 settimane conferiscono ai parametri ematici un evidente miglioramento), allenarsi a quote inferiori a quella del soggiorno. Occorre rimanere più tempo possibile in altura, almeno 14-16 ore al giorno oltre i 2000 metri di quota.

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  1. Carenza di ferro: la disponibilità di ferro è essenziale per la produzione di nuovi globuli rossi. Pertanto, occorre assicurarsi che le riserve di ferro siano sature 2-3 settimane prima dell'inizio del viaggio. Risulta importante fornire una quantità sufficiente di ferro durante l'intera durata del soggiorno in quota (anche con integratori, se necessario). L'assunzione di vitamina C (per esempio, succo d'arancia) può migliorare l'assorbimento del ferro nel corpo, ma si consiglia di effettuare le opportune analisi con il supporto del proprio medico.

  2. Malattia: questa situazione, che spesso si manifesta sotto forma di infezione gastro-intestinale, sconvolge il metabolismo del ferro e diminuisce la sensibilità del midollo osseo all'EPO, con un conseguente eritropoiesi più bassa. Il corpo produce meno globuli rossi quando si è debilitati, e questo può peggiorare anche il grado di adattamento all'altura. Anche uno stato infiammatorio, causato da batteri o virus o danni al tessuto muscolo-scheletrico, possono compromettere la produzione di globuli rossi.

  3. Intensità e carichi allenanti: occorre considerare un periodo di adattamento (individuale) all'altura, della durata variabile di 5-10 giorni, per evitare l'innesco di sintomi infiammatori o compromettere il periodo di carico successivo. Bisogna dosare al meglio allenamento e recupero (quest'ultimo più difficoltoso, specie nei primi giorni) e cercare di dormire bene (inizialmente il sonno può esser un problema). Nel caso si riduca la qualità del sonno, si può considerare la permanenza a quote più basse per le prime 2-3 notti (1300-1500m). Per evitare un eccessivo affaticamento e sovrallenamento durante lo stage, occorrerà monitorare con attenzione parametri come la FC e i watt. Nei primi giorni (vedi punto sottostante), la frequenza cardiaca potrà essere al mattino di 5-10 battiti superiore a quella normalmente riscontrabile. Di solito questo valore ritorna alla normalità entro una settimana, indicando un corretto acclimatamento. La presenza di un buon piano di allenamento e di forme di controllo dei dati è sempre fondamentale.

  4. Acclimatamento: è necessario adattare il training settimanale tenendo in considerazione la fase di acclimatamento e la prima esposizione all'altura. Nella prima settimana solitamente le sessioni sono più brevi e non hanno una componente ad alta intensità, nei primi 3-4 giorni si dovrà utilizzare come bussola anche la frequenza cardiaca (vedi sopra). Si prosegue poi con la graduale introduzione di intensità maggiori, a quote altimetriche medie o basse. Gli atleti non responder non raggiungeranno mai lo stesso livello di intensità in altura rispetto al livello del mare.

  5. Supporto energetico: aumentare l'intake proteico fino a 1,9- 2,2 gr/kg di peso corporeo durante il soggiorno in altura, onde evitare la comparsa di processi catabolici a danno della muscolatura. L'apporto energetico sarà superiore e anche la quota di carboidrati/die andrà aumentata, sia per il maggior fabbisogno in altitudine sia perchè i cho sono importanti per il sistema immunitario.

  6. Idratazione: l'aria in altitudine è più fredda e più secca, e l'allenamento provoca un'elevata perdita di acqua e sali, con potenziale rischio di disidratazione; occorre bere sempre con regolarità ed avere sempre con sé acqua o soluzioni idro-saline di rinforzo. Nel periodo precedente al soggiorno bere molto e cercare di mantenersi sempre idratanti, consumando abbondanti porzioni di frutta e verdura.

  7. Aspetto motivazionale: lo stress mentale causato dal calo di prestazioni in altura, quello emotivo, la privazione del sonno, possono colpire l'atleta sin dalla fase di adattamento all'alta quota. Occorre quindi recarsi in montagna con  un elevato livello di benessere fisico ed emotivo, per non subire dal punto di vista psicologico il periodo lontano da casa. Una fase di tapering pre-altura è utile quindi dal punto di vista psico-fisico.

  8. Obiettivi: la gara obiettivo dovrà essere programmata nell'intervallo di tempo compreso tra 7-21 giorni dalla fine del soggiorno in altura Per approfondire: Bailey, D.M. and Davies, B. (1997) Physiological implications of altitude training for endurance performance at sea level: A review. British Journal of Sports Medicine, 31, 183-190

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