Per molti praticanti a livello amatoriale, l’uscita quotidiana è una specie di routine, un bisogno, a volte fisico a volte psicologico, di saltare in sella, dar fondo alle proprie energie e ritornare alla propria abitazione con la piacevole certezza di aver lavorato al meglio. L’incedere degli allenamenti viene raramente interrotto, anche in occasione delle festività lo sport di endurance arreca una sensazione psicofisica di benessere, a cui col tempo diviene difficile rinunciare.
Ogni anno qualcuno incappa in periodi nei quali la programmazione viene rallentata o interrotta; per chi pratica sport nel tempo libero, è difficile che ogni stagione trascorra senza alcun intoppo o problematica fisica. Gli ostacoli all'incedere degli allenamenti di solito riguarda stati influenzali, virus ed acciacchi di varia natura, condivisi peraltro da buona parte dei praticanti di sport all’aperto (patologie delle vie respiratorie, escoriazioni, problemi muscolo-scheletrici o tendinei e così via).
Più rare, ma non certo inesistenti, specie per gli agonisti, le fratture o forti contusioni alle ossa più esposte in caso di urto con il terreno (polso, clavicola..). Agli sportivi di endurance, specie nella fase principale della stagione agonistica, il Medico dello Sport può consigliare, in considerazione dei parametri ematochimici riscontrati, degli stop anche di 7-10 giorni, onde ripristinare l’equilibrio metabolico e ormonale (perduto con la scorretta applicazione dei carichi allenanti). Rari -ma non certo da sottovalutare- i virus quali mononucleosi o, ancor più infido, il citomegalovirus, che hanno in qualche caso compromesso delle stagioni intere.
Va detto che spesso atleti poco esperti, o semplicemente male consigliati per quel che riguarda la scienza dell’allenamento, svolgono enormi carichi di allenamento, con uscite troppo lunghe od intense per le loro reali capacità, o ancora saltando i giorni di riposo; tutto ciò col paradossale effetto di incrementare solamente la secrezione dei cosiddetti “ormoni dello stress” (…) e quindi il rischio di infortuni di natura virale, Overreaching, Bornout, stati infiammatori anche di modesta entità, fino al famigerato (e per certi versi equivocato) Overtraining. L’unica soluzione a questi inconvenienti è il riposo, quel riposo mediante cui si ottengono i benefici dall’allenamento quotidiano, e con cui costringiamo il corpo a far fronte a sforzi impegnativi, accrescendo la performance.
Quali sono le maggiori perdite che occorrono a seguito di uno stop forzato?
Le conseguenze del detraining sono molto simili a prescindere dalla fase della vita biologica presa in esame, si parli cioè di bambini od adulti, e in generale possiamo dire che la ripresa del proprio plan, ed il ritorno al livello prestativo precedente, saranno più lunghi del lasso di tempo che ha portato alla perdita della condizione raggiunta. L'entità della perdita inoltre dipenderà sia dal periodo della stagione in esame, e quindi del livello di forma che si era acquistito nel frattempo, sia dal livello delle capacità dell'atleta in esame.
Nonostante gli agonisti siano soliti sottoporsi a lunghe e continue giornate di allenamento aerobico, la riduzione delle prestazioni si verifica sia in caso di sforzi massimali e sub-massimali già poche settimane dopo l'interruzione forzata degli allenamenti. Questo calo della performance fisica coincide con una serie di regressioni nelle funzioni cardiovascolari e muscolari: riduzioni significative nel VO2max sono state segnalate dalle ricerche già in un paio di settimane di allenamento troppo scarso, anche se l'immobilità o il riposo attivo accelerano il deallenamento rispetto ad una semplice riduzione dell'attività fisica conseguente a stop intermittenti nella preparazione.
Occorre considerare che uno stop forzato di due settimane andrà a dimezzare l’incremento prestativo corrispondente al Periodo specifico di allenamento che si attraversava. Dopo altre due settimane, con uno stop che copre quindi il mese completo, l’atleta perderà un altro 25% dei benefici ottenuti con l’allenamento costante, sempre dall’inizio del Ciclo di allenamento (la cd programmazione stagionale).
Diamo un po’ di numeri quindi; uno stop completo dall’attività ciclistica determina un decremento del Massimo Consumo di Ossigeno (VO2 max)pari al 7-9% nelle prime tre settimane, ove proseguendo con lo stop per un totale di 8 settimane la perdita sarà quantificabile in -18%. Secondo quanto riportato in letteratura scientifica, sarebbe sufficiente eseguire un’attività sub-massimale alla settimana per mantenere praticamente inalterato il VO2max in caso di infortunio; allo stesso modo, occorrerebbero tempi molto lunghi per vedere modificati il rapporto tra cellule intramuscolari e la presenza di capillari per cellula muscolare. Le doti di resistenza verrebbero comunque compromesse dallo stop; basti pensare (Brynteson) che, solo riducendo il numero di sedute aerobiche da 5 volte alla settimana fino a 2 days/week, si avrebbe una cospicua riduzione della forma.
Secondo un’autorevole ricercatore americano, Wilber, dopo 3 settimane di stop le modificazione indotte sul fisico dell’atleta sono le seguenti:
Durante il periodo di detraining, la prestazione sulle durate più ampie perdono rapidamente efficacia dal punto di vista muscolare e cardiorespiratorio, rispetto agli sforzi che invece esigono un impegno a carico del sistema anaerobico; la massa magra dello sportivo di endurance inoltre subisce un degrado maggiore rispetto al praticante di sport a maggior componente muscolare (Lo et al, 2011). A tal proposito, va detto che dal punto di vista lipidico si assiste, con l'interruzione degli allenamenti, ad un incremento del consumo di zuccheri a parità di esercizio, a scapito della componente lipidica (grassi).
Nel caso si debba interrompere il piano d’allenamento, occorrerà intervenire in maniera tempestiva con l’aiuto del proprio preparatore.
Ecco le nostre linee guida
3 o – giorni persi: l’errore comune sta nel cercare di comprimere le sedute per recuperare i lavori specifici non svolti. Evitare invece questa metodica, che andrebbe a compromettere il delicato equilibrio tra fitness e affaticamento: meglio riprendere ad allenarsi seguendo la tabella come se niente fosse accaduto. Il decremento dello stop sarà minimo!
Da 4 a 7 giorni persi: ritornare in sella dopo una breve malattia, come frequente in questo scenario, vuol dire presentarsi in condizioni di brillantezza limitata, con una deriva della Frequenza Cardiaca rispetto alla Potenza ed una maggiore fatica percepita (RPE). In tal caso, occorrerà effettuare le prime 3 sedute di adattamento ascoltando le sensazioni trasmesse dai muscoli, e cercando gradualmente di capire il proprio livello di fitness. Effettuato un quarto giorno di riposo assoluto, si svolgeranno due sedute, una principalmente aerobica e l’altra con lavori più intensi, al fine di tracciare un primo bilancio, e correggere eventualmente i carichi delle settimane a venire. Nel caso in cui invece lo stop forzato non sia riconducibile a malattia, occorrerà effettuare la sessione di ripresa con cautela, possibilmente su percorso vallonato e per una durata limitata. Si andrà anche in tal caso ad accorciare la programmazione precedente, di 1 settimana (agendo sulla durata dei macrocicli precedentemente impostati), ed anche a rimodellare la tabella di allenamento settimanale, riproponendo i lavori più importanti a fini agonistici al posto di quelli meno specifici e necessari. Se necessario, anche il volume delle sedute andrà compresso, agendo sui tratti di trasferimento tra i vari workout
Da 1 a 2 settimane perse: in tal caso si andrà a ritroso fino a ritornare al periodo base della preparazione, agendo quindi in maniera oculata e in considerazione dell’andamento cardiaco rispetto ai Watt espressi e della percezione di fatica. Una volta raggiunto il livello antecedente lo stop, si includeranno nelle sedute a ritmo uniforme lavori di intensità via via crescente, mentre in caso di bisogno sarà opportuno inserire uno o più giorni di riposo a margine della preparazione specifica, prima di ritornare a pieno regime di carico.
Più di 2 settimane perse: occorrerà agire considerando il periodo di preparazione che si attraversava al momento dell’interruzione. Se ci si trova nel pieno della stagione agonistica, andranno compressi il più possibile i microcicli di allenamento, e considerato un tempo dimezzato per ogni fase della preparazione, ricominciando sempre con gradualità dalla base. Sarà importante il lavoro psicologico sull’atleta; non è infrequente incontrare corridori che, a causa delle forzature sui tempo di recupero, si ritrovano con ricadute a lungo termine. In altre situazioni, alla ripresa il soggetto effettua immediatamente e con foga lavori pesantissimi per volume ed intensità, andando a trovare rapidamente una forma di benessere, vera o presunta, che si esaurisce con altrettanta velocità in poche settimane.Per approfondire:
P. D. Neuter, "The effect of detraining and reduced training on the physiological adaptations to aerobic exercise training", Sports Med. 1989
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