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Immagine del redattoreSimone Casonato

Prestazioni, età e margini di miglioramento

Si creano interessanti situazioni in laboratorio, specialmente quando arrivano degli atleti amatori da testare. In particolare, nell’ultimo periodo ho avuto nella stessa giornata due atleti di età molto diverse, giunti da me tramite passaparola per testarsi ed iniziare un lavoro di miglioramento personale.


Si trattava di un ciclista di 61 anni ed uno di 22. Entrambi con la voglia di migliorarsi, entrambi con circa 3-4 anni di ciclismo agonistico alle spalle, seppur provenienti da discipline aerobiche differenti in adolescenza. Spesso i ciclisti correlano eta’ e prestazioni fisiche, supponendo che sia normale avere grossi divari tra atleti giovani e meno giovani, così come guadagni marginali più o meno evidenti. Dobbiamo pensare che gli anni d’età, o il trascorrere di essi, influenzino il miglioramento o peggioramento delle proprie qualità, ma tutto dipende dal motore aerobico (genetica + allenamento) che l’atleta possiede.


Nel nostro caso di inizio articolo, il primo ciclista over-60 ha raggiunto nel test un valore (assai ragguardevole) di 60,7 ml/kg/min di vo2max: numeri davvero importanti per un atleta di questa fascia d’età, con 3,94 w/kg di FTP. L’atleta, più giovane (22 anni) aveva un buon vo2max di 51,1 ed una FTP di 3,55 w/kg. Che cosa significa questo? Partiamo dal presupposto che ci sia un’influenza genetica in tutto: le capacità mentali, la memoria, così come la predisposizione al diabete, al cancro, le prestazioni fisiche di qualsiasi sport si voglia praticare.


Esiste una componente genetica che permette a questi due atleti di tollerare allenamenti e carichi settimanali in modo peculiare. E quindi di migliorare in modo diverso le proprie prestazioni fisiche, se sottoposti ai miei programmi di allenamento.


Occorre quindi un sano realismo quando ci si confronta con amici e compagni di squadra da un punto di vista prestazionale: si deve coltivare questo sport come uno stimolo per stare bene, e puntellarlo con obiettivi di carattere personale e/o agonistico, ma non bisogna mai scordarsi del punto di partenza e dei propri mezzi genetici. Gli atleti che presentano un fenotipo in grado di portarli a risultati eccellenti posseggono una combinazione di vari genotipi favorevoli, che determinano un vantaggio genetico da parte di un soggetto rispetto ad un altro. Ad esempio, i genotipi dell’ACE e dell’ACTN3 possono rimarcare se un atleta abbia la possibilità di divenire uno sprinter o se invece si potrebbe divenire un ottimo interprete di endurance.


Allo stesso modo, bisogna instaurare un franco e sereno confronto sia con il coach che con la propria mente, per capire fino a che punto ci si possa spingere nelle settimane di lavori insieme. E quali obiettivi realistici ci si debba porre.


Il nostro 61enne quindi avrà tutto il diritto di porsi dei traguardi più ambioziosi rispetto a molti dei suoi pari età, addirittura del “collega” 22enne, e questo forte di una predisposizione genetica decisamente maggiore e certificata.

Allo stesso modo, l’atleta che negli sprint non riesca a raggiungere regolarmente i 1000w non dovrà recriminare per uno scarso allenamento o richiedere le tabelle al compagno che superi facilmente i 1300w; l’unico responsabile di questo deficit è la sua componente muscolare (…), spesso poco o nulla allenabile.


I limiti che l’allenamento ci pone non debbono essere visti come un freno, od uno sminuire chi non ha certe qualità ed è meno predisposto: lo sport del resto ci insegna a confrontarsi in primis con sé stessi ed a cercare di superare i propri limiti, prima di competere in qualsiasi gara o contro qualunque avversario.

Per approfondire il tema, vi rimando ad un articolo del sito:

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